Cipro, la lezione islandese e un’analisi sull’instabilità del sistema finanziario globale

La vicenda cipriota ha evidenti parallelismi con Islanda e Irlanda. Tutte e tre le isole nazione hanno attirato nell’ultimo decennio ingenti fiumi di denaro dall’estero, divenendo dei paradisi bancari, questo ha causato una eccessiva crescite dei loro sistemi bancari che sono – erano – divenuti sovradimensionati rispetto alle economie sottostanti. Così grandi che, una volta esplose le esposizioni, non potevano essere salvati dai propri stati.

L’Islanda, al suo picco, ha avuto banche con attività che erano il 980 per cento del suo PIL , più di 10 volte il numero degli Usa, l’Irlanda era a 440 per cento. Cipro, è intorno all’800 per cento.

Prima della crisi del 2008, Cipro ha goduto di un lungo periodo di crescita elevata, bassa disoccupazione, e finanze pubbliche sane . Come nel caso islandese, non è la cattiva amministrazione delle finanze pubbliche, all’origine della crisi, ma un sistema bancario sovradimensionato rispetto all’economia globale del paese.

Soluzioni? L’Islanda ha attraversato la crisi con molti meno danni dell’Irlanda, per due motivi. In primo luogo, ha lasciato che le sue banche andassero in default rispetto ai debiti verso creditori non nazionali, inclusi i depositi in conti offshore. In secondo luogo, aveva la flessibilità che viene da avere una valuta propria.

Il vantaggio di avere una propria moneta ha aiutato l’economia reale, favorendo la competitività, ma ha anche permesso, a causa del deprezzamento della corona insieme a controlli sul flusso di capitali, all’erosione del valore dei depositi di stranieri. Il breve “scoppio” di inflazione che è seguito, ha si eroso anche il valore reali del piccolo risparmio islandese, ma con le banche che erano cresciute fino a contare 10 volte il PIL, era il minimo che potesse avvenire.

Cipro, purtroppo, sembra si stia incamminando sulla strada irlandese, con l’aggiunta dell’esproprio ordinato dagli eurofanatici.
Per essere onesti, il prelievo forzoso proposto sui depositi è in realtà più piccolo delle perdite reali sostenute dai depositanti islandesi a causa dell’erosione inflattiva. Ma questo è solo l’inizio! Con il default effettivo sui depositi, Cipro a differenza dell’Islanda che aveva la propria moneta, avrà bisogno di un ingente prestito in euro dalla troika europea, e la condizione di tale finanziamento sarà austerità, sempre più austerità. Questo appare come l’inizio senza fine.

E mentre sembra che i termini dell’esproprio siano in fase di revisione, i creditori non nazionali – speculatori – stanno ancora facendo un affare rispetto a quello che i loro colleghi fecero in Islanda. Un grosso problema è che, a differenza dell’Islanda, la politica cipriota non è disposto a mettere fine ai suoi eccessi bancari, cercando di mantenere inalterato il ruolo di paradiso bancario della mafia russa, il che significa meno imposizione di perdite ai capitali stranieri (in antitesi alla ricetta islandese) e più tassazione per la gente del posto. Eurorapina compresa.

Il fattore russo in questa crisi di Cipro è piuttosto grande. Izabella Kaminska stima in 19 miliardi di euro i depositi dei cittadini russi nelle banche di Cipro, che è più del PIL del paese. Ma vista la natura – riciclaggio mafioso – di gran parte di questo denaro russo, è davvero tutto qui, o ce n’è dell’altro non dichiarato?

Ampliando la visuale dell’analisi, abbiamo visto tre nazioni insulari europee diventare tre grandi centri bancari internazionali con sistemi creditizi sovradimensionati relativamente al loro PIL, e quindi l’inevitabile crisi successiva perché le loro economie nazionali non hanno le risorse necessaria per salvare i sistemi bancari nel caso in cui qualcosa va storto. Questo suggerisce che, ben lungi dalla casualità, abbiamo un problema strutturale del sistema finanziario internazionale in generale, e dell’euro in particolare.

La crisi globale del 2008 – che riposa su una asimmetria del commercio mondiale e su un eccesso di produzione globale rispetto alla domanda che è strutturale – è stata però resa possibile dal punto di vista finanziario a causa dell’erosione nella regolamentazione del sistema finanziario. Dopo la Grande Depressione del ’29 abbiamo avuto 70 anni di “calma” in cui i paesi avanzati hanno avuto pochissimi casi di crisi finanziarie rilevanti proprio grazie ad un sistema finanziario regolamentato che limitava le possibilità di utilizzare una eccessiva leva finanziaria non bancaria.

Ma questo regolamento, a sua volta dipendeva, in misura importante, su limitato flusso internazionale di capitali, altrimenti il regolamento stabilito in uno stato sarebbe stato facilmente bypassato tramite paradisi come ad esempio Cipro. E una volta che il controllo dei capitali ha cominciato ad essere tolto nel 1970, seguito poi dalla libera circolazione di uomini e merci – Globalizzazione – siamo entrati in un’era intrinsecamente instabile di crisi finanziarie – e sociali – sempre più grandi a partire dall’America Latina, per poi passare in Asia, e, infine, al mondo intero.

Tutto ciò solleva una questione fondamentale: l’era dei movimenti di capitali, uomini e merci sono consustanziali al sistema, o sono solo una bolla che genera un sistema precario e quindi destinata a finire presto? Ciò che sappiamo è che stiamo peggio di prima. Ergo: o la Globalizzazione finisce da sola per “implosione”, o qualcuno dovrà “terminarla”.

1 comment

  1. Werner marzo 20, 2013 11:43 am  Rispondi

    La globalizzazione ha portato a queste situazioni menzionate dall’articolo, ma siccome questa é stata decisa dal Sistema rappresentato dall’elite finanziaria ebraica, che attraverso lo strumento della corruzione controlla implicitamente gli Stati occidentali, questi non possono regolamentare nessuna attività finanziaria e commerciale.

    Come dire, siamo nel XXI secolo, ma viviamo in una grande dittatura sovrannazionale che controlla e decide per le nostre vite, e purtroppo la gente non lo ha ancora compreso.

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