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MILANO – Lavorare di più per uscire dalla crisi, magari accorpando anche le feste «comandate». È la ricetta del sottosegretario all’Economia, Gianfranco Polillo dopo l’ipotesi ventilata lunedì in ambienti governativi di un intervento a breve per accorpare le festività. Idea che fa il paio proprio con una recente proposta di Polillo che ha provocato non poche polemiche: lavorare una settimana di più per far ripartire l’economia e far risalire il Pil.
LA PROPOSTA – «Mi auguro che il problema venga preso di petto» perché aumentare le ore di lavoro degli italiani, magari accorpando anche le festività «è una delle chiavi per risolvere la crisi» spiega Polillo. «Sono contento di essere stato seguito in questo indirizzo – aggiunge – l’importante ora è discuterne». Anche perchè «c’è anche, ad esempio, un problema di rapporti con la Chiesa». È comunque certo che nella «ricetta-Polillo» le festività accorpate non dovrebbero essere più pagate facendo ridurre il costo del lavoro.
«In Italia il rapporto tempo libero-lavoro è troppo basso – dice ancora il sottosegretario -. Ad esempio in Alenia è stato firmato un accordo con i sindacati per lavorare 7 giorni a settimana con i turni per un totale utilizzo degli impianti. All’estero già funziona così. Sono andato il Primo Maggio a Londra e l’avevano già celebrato la domenica precedente».

Non è tanto l’idea in sé, a disturbare, ma l’analisi della realtà che ne deriva.
Se un membro del governo crede di risolvere la depressione economica nella quale siamo affondati, in questo modo, significa che non ha ne comprese le cause reali.
Il problema dell’economia italiana in particolare, e globale in generale, non è che “non si produce abbastanza”, ma paradossalmente il suo opposto: si produce troppo rispetto a quello che gli individui riescono a consumare.
E questo è direttamente legato alla struttura stessa della Globalizzazione: la ricchezza si concentra verso l’alto, la classe media viene risucchiata nel vortice della povertà. Ergo, chi vorrebbe “consumare”, non può farlo per mancanza di capacità finanziarie.
Questo accade sempre quando la ricchezza si concentra in poche mani, per un semplice motivo: un individuo, per quanto ricco, non può consumare quanto 100 individui. C’è una barriera, se volete “biologica”, nel consumo alimentare ma anche di altri beni.
100 persone che guadagnano 2000€ al mese, consumeranno sempre di più, rispetto ad un singolo individuo che ne guadagna 200mila.
Quindi, la concentrazione di ricchezza inocula un fattore di profonda instabilità nel sistema.

Quindi, pensare di risolvere un problema di “domanda”, agendo sull’offerta, addirittura con l’idea di “aumentare” l’offerta attraverso l’aumento di “produzione” (giornate lavorative), è demenziale.
Ricordiamo al sedicente “esperto” del governicchio Monti che, in Italia, ci sono 500mila persone in cassa integrazione a “0” ore. Ovvero lavoratori che non producono nulla, per il semplice fatto che non esiste domanda da soddisfare: l’offerta è in eccesso.

Allora quale sarebbe la soluzione? Agire sulla domanda, non regalando soldi in maniera improduttiva, che è il metodo per degradare il cittadino a “mantenuta”. Ma agendo alla causa prima generatrice di “ineguaglianza economica”: la globalizzazione e l’immigrazione.
Addomesticare la prima, con dazi doganali che impediscano alle multinazionali di produrre a basso costo in un paese schiavile e, poi, vendere in Italia: questo è infatti un enorme fattore di “concentrazione di ricchezza” dai lavoratori italiani alle multinazionali.
Smantellando la seconda, attraverso una politica di “immigrazione zero” che duri almeno un decennio, durante il quale verranno intraprese poderose espulsioni di immigrati in eccesso.

Questo è l’unico modo perché gli stipendi dei lavoratori tornino a crescere, e quindi, questi, tornino poi a consumare quello che il sistema è capace di produrre.

Sempre partendo dal pressupposto che non dobbiamo essere schiavi del “Pil”, uno degli dei del “pantheon tecnico”: l’uomo è più di ciò che consuma.

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