Possiamo paragonare l’odierna immigrazione alla schiavitù del periodo romano: si parla sempre del lato morale della questione, mai, del degrado economico[nbnote ]Venendo ai giorni nostri, anche esulando dai costi “sociali” e rimanendo a quelli prettamente economici, un dato su tutti, che non viene mai citato in negativo: le rimesse.
Ogni anno esce dall’Italia una cifra di circa 6,5miliardi di euro: è come se ogni anno l’Italia importasse “nulla” per una cifra pari allo 0,5% del Pil, ovvero ogni anno è come se partissimo da -0,5% in classifica.[/nbnote] che la schiavitù portò “in dono” alla società.
Non, della concorrenza che portò i piccoli contadini ad essere spazzati via dal latifondismo che impiegava immigrati schiavi a basso costo.
E mai, dello spopolamento che questo causò nelle campagne italiche. Mai della lotta dei Gracchi contro l’immigrazione dell’epoca in difesa dei più deboli che erano il nerbo della Repubblica.
Essa, la schiavitù-immigrazione, fu dannosa dal punto di vista economico e tecnologico, e all’origine del mancato progresso tecnologico dell’Impero Romano; la stessa cosa sta accadendo alle moderne società occidentali con gli immigrati, schiavi moderni che con il loro lavoro a basso costo, annichiliscono lo sviluppo tecnologico (non si investe in ricerca, quando si hanno braccia disponibili a basso prezzo).
Non dimentichiamo che il Capitalismo non ha “guida”, agisce in nome dell’interesse immediato, e questo, come nel caso dell’immigrazione, ha come conseguenza un danno futuro: l’immigrazione come la schiavitù di epoca romana, può essere inizialmente vantaggiosa per chi la sfrutta(grandi latifondisti al tempo e multinazionali oggi), ma corrode la società e la sua vitalità economica dal suo interno, distruggendone la produttività e impedendo investimenti nel campo dell’innovazione. E alla fine di questo percorso, perderanno tutti, anche chi se ne è avvantaggiato inizialmente.
E’ il destino del Capitalismo lasciato a sé: esso degrada a “cannibale che fagocita la comunità”.
Questo mostro partorito dal concetto “semita” di economia, dove per semita si intende, ovviamente, quella cultura giunta a noi attraverso la Stoa e poi penetrata nella società con il Cristianesimo prima e il comunismo poi; questo capitalismo, dicevamo, trasforma ogni cosa, ambiente o essere vivente, e lo riduce a “mezzo” per ottenere denaro. E al dio Denaro lo sacrifica quando non serve più.
Il capitalismo anglosassaone, Yankee, quello che deve essere esportato con la sedicente “democrazia”, quello imposto agli stati della Confederazione con la Guerra Civile.
Non dimentichiamoci che, almeno, nella CSA gli schiavi venivano curati dal padrone e veniva garantita loro la vecchiaia, non erano “merce” o combustibile da utilizzare e poi scaricare quando non serviva più: questo avveniva, invece, nei “liberali” Stati del Nord, con i lavoratori a ore. E avviene oggi con il precariato.
E questo accade anche con l’immigrazione, questo tipo di economia dello sfruttamento, esige sempre “carne fresca”, e poco importa che in questo modo si danneggi la società nel suo insieme e la si porti alla rovina, il Capitalismo senza regole, è privo di prospettiva, è un viaggiatore cieco, è una creatura impersonale che deve sempre andare avanti: come un ciclista non può fermarsi. Altrimenti cade.
E se per andare avanti deve camminare sui cadaveri, poco importa. Se per andare avanti, deve degradare la comunità a bacino di manodopera a basso costo, poco importa. Se per andare avanti, deve trasformare i nostri quartieri in dormitori, poco importa.
L’immigrazione e’un effetto collaterale di un capitalismo senescente e ingordo, che vuole schiavi e consumatori. Non vuole uomini.
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